Thrinakìa 3a edizione
Concorso internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche dedicate alla Sicilia
Sezione Racconti autobiografici
Affreschi siciliani
Di Giovanni Peluso
Prima opera classificata Sezione Racconti autobiografici
«Ho spulciato nel diario del mio internamento carcerario; il freddo di questo febbraio anomalo sembra ripercuotersi nelle ossa, mentre le parole sbiadite, su fogli ingialliti, sfumano nella nebbia dei ricordi riproponendo le immagini di un passato che non riesce a disperdersi nella rassegnazione, che di notte si presenta nei sogni rievocando gli incubi di una sorgente sofferenza.
Due anni rimasi a Noto, due anni, nei quali riuscii a comprendere il valore del silenzio, a udire le sue voci, colloquiare con una coscienza che avevo azzittito col fragore di una falsa gloria, ad ascoltare gli altri, immedesimarmi nella loro sofferenza, a ridimensionare la mia superbiosa arroganza, a controllare le passioni, a comprendere il valore dell’umiltà per assaporare la gioia nell’udire il pianto di un bimbo, accarezzare le guance calde della persona amata.»
Giovanni Peluso
I suoi racconti traggono spunto da storie reali: egli si autodefinisce il cantastorie dei carcerati, dando voce ai loro silenzi e al loro abbandono.
Assunto come operaio nell’Italsider (oggi ILVA) di Taranto, diventa sindacalista ed è imputato dell’attentato al caricamento dell’Altoforno n.2., arrestato è condannato a 5 anni di reclusione, che sconta in carceri punitivi, quale prigioniero politico. Terminata la condanna, senza possibilità lavorativa, conduce una vita avventurosa. Oggi scrive racconti sulle esperienze carcerarie.
È nonno e, con la sua compagna, uniti da cinquanta anni di matrimonio, attende il riposo che freni il suo spirito avventuroso.
Un viaggio, un’isola, un sogno
Di Stefano Pozzi
Seconda opera classificata Sezione Racconti autobiografici
«A distanza di dieci anni dalla mia breve vacanza non sono ancora riuscito a organizzarmi per ritornare sull’isola. La curiosità di rivedere quel mare e di trascorrere un’altra vacanza in tranquillità, spesso mi porta anche a chiedermi che fine avrà fatto il mio vecchio conoscente. Ho cercato allora di soddisfare quel desiderio soltanto con l’immaginazione.
Ecco, adesso mi sento soddisfatto; ho imparato anch’io a sognare, proprio come faceva Luciano. Sogno di giorno, a occhi aperti, lo faccio guardando il cielo, le montagne, la natura e, quando posso, anche guardando il mare, nella speranza di ritornarci ancora in quella meravigliosa isola siciliana, ma stavolta per davvero, e non soltanto con l’immaginazione.»
Stefano Pozzi
Impiegato pubblico sessantenne, vive e lavora a Vergato (Bologna), dove nel tempo libero da sempre si occupa di volontariato in varie forme associative, sia a livello sportivo sia turistico culturale.
Si è avvicinato alla scrittura dopo i cinquant’anni, dedicandosi principalmente alla narrativa breve di vario genere, per poi concentrarsi negli ultimi tempi sulla poesia descrittiva e di fantasia.
La vanedda
Di Chiara Cataldi
Terza opera classificata Sezione Racconti autobiografici
«Vanedda è una parola siciliana. Vuol dire stradina, vicoletto. La bellezza della vanedda stava nel fatto di essere molto vissuta durante tutto l’arco della giornata – escludendo naturalmente le ore centrali alias “coprifuoco al contrario”, che in estate viene rispettato in qualsiasi paesino o città della Sicilia.
La cosa che più mi piaceva era il fatto che la casa della nonna si trovasse proprio al centro della vanedda, in corrispondenza dell’arco con la scalinata che portava alla strada sottostante.
Nella vanedda c’era sempre un grande scambio di cibi. Era automatico: chiunque cucinava qualcosa di buono / particolare / abbondante (insomma sempre!) lo faceva assaggiare ai vicini di casa. Piatti, piattini, cartocci viaggiavano da una casa all’altra.»
Chiara Cataldi
È nata in Sicilia e cresciuta in Toscana. Ha trascorso tutte le estati della sua infanzia tra Modica e Ragusa, dove torna appena può per respirare aria di casa. Ama viaggiare, leggere e scrivere.